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Racconti

mercoledì 09 gennaio, 2013

La 1000 du Sud

Una delle poche certezze di inizio stagione è che avrei fatto di tutto per tornare a Carces. Dall’anno scorsone rimasi affascinato sia per il percorso che per lo spirito. La 1000 DU SUD è particolare, sei in completa autonomia, quindi niente ristori, niente bag-drop, niente di niente. Sophie grande maestra organizzatrice fornisce un road book dettagliatissimo e file GPS.

 

 

Il percorso è uno dei più affascinanti mai fatti e allo stesso tempo durissimo: 1000 chilometri, 16.500 metri di dislivello, 27 colli dei quali 14 oltre i 1000 metri, il tempo limite di 75 ore rimane ristretto. Ogni anno il percorso viene modificato in buona parte.

Detto fatto. Martedì 4 settembre 2012 si parte per Carces (Francia) insieme al compagno di merende Michele e lo svizzero Max; Piero ci raggiunge a Carces. Alla sera ritrovo con cena tutti insieme in palestra; ritrovo anche Manuel, personaggio mitico conosciuto sulle strade della Francia nella passata stagione e presente alla 1001 Miglia in Italia quest’anno.

Alle otto, al tocco del campanile, con il classico “ bonne route” Sophie dà il via alle danze: saranno 45 i partenti. Comincia così la 1000 du Sud. Due cose importanti per gestire questa randonnée: tenere d’occhio il tempo massimo di chiusura dei cancelli delle tappe e dimenticarsi la pianura.

Una volta partiti bisogna per prima cosa “sballare” le gambe. La 1001 Miglia e l’intera stagione da randagio si sente. Si parte come al solito, con calma, e si viaggia ognuno con il proprio passo. I saliscendi e le prime colline sgranano subito il gruppo. Dopo 85 chilometri la prima sorpresa: sul col d’Espinouse ecco il controllo segreto. Sophie è presente con un sostanzioso ristoro. Dopo la ripartenza mi ritrovo per un attimo solo, sto guardando il panorama, paesaggi fantastici... mi distraggo. Ad una rotonda inforco la strada sbagliata; guardo il road book e per coincidenza mi trovo ad una seconda rotonda con una indicazione simile... ok proseguo, ma il GPS mi dice che sto viaggiando in direzione opposta. In questi casi l’unica cosa da fare è tornare indietro a controllare, infatti mi rimetto sulla retta via. Passano pochi chilometri, un passaggio sul fiume con la vista di un ponte stupendo, non curandomi dei cartelli, vado in direzione del ponte. Errore. Mi chiedo: “Jimmy ma che cavolo stai facendo?”. Ora sono più concentrato; via! riparto e aumento l’andatura per rientrare con gli altri. Intanto Mic e Max si erano fermati ad aspettarmi, Piero era più avanti, almeno così credevamo.

Ci ritroviamo al primo controllo a Barret-sur-Méouge. Percorsi 144 chilometri; subito dopo arrivano Piero e Manuel. Anche loro distratti avevano cambiato percorso. Pausa breve, il tempo di mangiare un panino e via, la tappa ci porta a Bèdoin ai piedi del Mont Ventoux passando dal Col de Macuègne, per la prima volta sopra i mille metri, e da Nesque, una valle fantastica. A Bedoin vogliamo mangiare, ma non troviamo niente e ci arrangiamo con un tramezzino. Si decide di andare al prossimo villaggio. Dopo 30 chilometri troviamo una crepery, ci fermiamo, si mangia qualcosa e si riparte per arrivare a Crest. Facciamo il punto, abbiamo 4 ore e 30 di vantaggio sul cancello di chiusura; si scherza come sempre, tutto procede bene. Ormai siamo nella notte, percorsi 320 chilometri. Vuoi un po’ di stanchezza, vuoi che il percorso è un susseguirsi di strappetti, ma non si riesce a dar velocità. Alla vista di una fontana ci fermiamo per una sosta: 20 minuti e via ancora sui pedali. Passano 20 chilometri e un cartello in mezzo alla strada ci indica il controllo segreto. Controllo gradito: una zuppa calda, si mangia e ci si ricarica. Alla ripartenza si è più frizzanti ed arriviamo a La Balme-de-Rencurel. Il tempo di vantaggio sui cancelli è di 5 ore e 40. Sino ad ora tutto bene. Adesso iniziano le tappe più impegnative e l’altimetria si fa più pesante.

Ripartenza... un cartello di strada interrotta... passiamo lo stesso! Ahimè dopo 4 chilometri di salita la strada è completamente sbarrata. Oltre a noi ci sono un gruppo di tedeschi e francesi; guardano la cartina, si riscende al paese e si inforca una deviazione a destra. Non ne sono convinto. Non avendo parametri di riferimento, solo il GPS mi dice inesorabilmente che stiamo andando nella direzione opposta. Alla fine dopo vari tentativi decidiamo di ridiscendere in paese. Sono le 6 e non c’è anima viva. Vedo uno scuolabus acceso. Vado in prossimità, busso alla porta di una casa e chiedo indicazioni. Ritroviamo la strada; il risultato è che abbiamo perso un'ora e mezza, e un po’ di morale. Ci guardiamo attorno ed è una sensazione che hanno anche gli altri partecipanti: il combatter con il tempo snerva. Arrivano le tappe difficili e la paura di non starci nei tempi.

 

Ora si deve salire ai 1200 metri del Col de Rousset; una nebbia ci avvolge, fa freddo; arrivati in cima si oltrepassa la galleria e dall’altra parte un sole splendente. Si scende e si riprende forza; arriviamo a Châtillon-en-Diois, qui troviamo solo scortesia. Siamo costretti a girare tre bar ed un negozio per poter mangiare qualcosa. Poi si percorrono il Col de Mennee e il Col de Prayet, così arriviamo a Celles. Siamo a metà strada, il morale è tornato, sappiamo che ora abbiamo di fronte a tre tappe durissime.

Affrontiamo il Col St Sébastien, il Col du Festre e dopo il Col d'Espréaux. Ecco il terzo controllo segreto; chiedo a Sophie se siamo nei tempi. Ci tranquillizza e ci dà morale. Arriviamo a Curbans. Il controllo è in un ristorante; pensiamo di mangiare, ma niente, dobbiamo accontentarci di un gelato. Si poteva salire in paese per cercare un posto, ma sottovalutando la situazione ripartiamo. Risultato: per parecchi chilometri niente e l’unico paese sembrava disabitato.

Fortunatamente il percorso lasciava le strade secondarie per metterci su una statale e dopo qualche chilometri incontriamo un chiosco di pizza: ci fermiamo all’istante. Sul posto c’era già il gruppo di tedeschi e pian piano si fermeranno anche altri. Prima di ripartire ci copriamo: gambali, smanicato e via, in direzione Barcelonette. Sappiamo che dobbiamo fermarci per dormire, altrimenti il giorno dopo sarebbero stati dolori.

Arriviamo a Le Lauzet-Ubaye e ci fermiamo in un bar. Piero conosceva il posto essendosi fermato in un suo giro precedente. Il titolare, gentilissimo, prima ci offre dei locali con poltrone per poter riposare, poi ci dà due camere, ci invita a portare le biciclette all’interno e ci spiega come uscire dal locale al nostro risveglio visto che stava chiudendo. E’ mezzanotte; un piccolo consulto e decidiamo di ripartire alle 2:30.

Michele e Max si fiondano subito a dormire, io e Piero ne approfittiamo anche per una doccia. Ci si sente più rilassati. La sveglia suona e subito viene in mente: “Se ci fosse stato Musseu... andiamo c….o non perdiamo tempo”.

Quel poco sonno basta per rigenerare le forze e di buona pedalata raggiungiamo Barcelonette. Sono le 4, il vantaggio sui cancelli è sceso a 2:30... non importa. Siamo più tranquilli; ora dobbiamo affrontare il Col de la Cayolle: 27 chilometri di salita e si arriva a 2326 metri. Unico handicap è la fame. Max ne ha e io ho un residuo di baguette del pomeriggio prima: almeno qualcosa farà. Si riparte. La salita lunga impone ad ognuno di affrontarla a secondo delle proprie sensazioni. In genere in questi casi preferisco aggredirle. Cerco una cadenza regolare e costante per evitare fermate, per me letali in salita. La prima parte della salita è molto dolce, in una valle stretta e rocciosa. E’ buio, si sente scorrere il torrente, ogni tanto il chiarore della luna fa intravedere qualche scorcio di paesaggio. Sulla salita si incontrano due paesi, la strada passa da un costone all’altro della montagna, però non vedi dove andare. Ad ogni chilometro vi è un segnale con distanza e altimetria; complice il buio e la mia vista non riesco a leggerli. Senti solo l’aria che si fa più frizzante e ogni tanto ti soffermi a dar un’occhiata al cartello. 2,6 chilometri alla vetta, ci siamo. Arrivato in cima ho i piedi gelati e mi vesto subito. Con Michele facciamo qualche foto e decidiamo di scendere per non stare al freddo. Arriviamo a Guillaumes, ci fermiamo in un bar; arrivano anche Piero e Max. Colazione abbondante e ci si prepara ad un'altra tappa dura con serie di colli oltre i 1500 metri.

 

Si parte per il primo colle: il Col de Ste-Anne. Faccio pochi chilometri e mi fermo. Devo spogliarmi, fa già caldo e sono solo le 9. Si scende e via si risale per il Col de la Couillole, ci aspettiamo un controllo segreto. Infatti a qualche chilometri dalla vetta c’è Joseph. Per noi è il fotografo della manifestazione, ma in realtà è un RANDAGIO Californiano di vecchia data che presta volontariato per aiutare Sophie. Persona gentilissima. Sul tavolo del controllo oltre al timbro e bevande, anche una Cetra. In un suo racconto narra che si è recato alla mattina presto per poter suonare ed attendere con emozione gli arrivi dei RANDAGI. Scambio di battute, chiediamo quanti passaggi sinora: solo quattro e restiamo un po’ sorpresi. E’ la corsa contro il tempo, non puoi soffermarti troppo. Ripartenza e siamo subito in vetta. Discesa lunghissima e spettacolare. Mic, come a Parigi, viene punto da un'ape.

Dall’altra parte della montagna si vede la salita che dovremo affrontare, un bel serpente sotto il sole. Arrivati a valle, sosta per una baghette e per riempire le borracce, e via. La salita che porta a Col St-Martin (La Colmiane), risulterà quella più dura, aggravata dal caldo. Arriviamo al controllo di St-Martin-Vésubie e il vantaggio sul cancello è di 2 ore e 30. Sosta in un bar per l’ennesima baguette. A causa della “simpatica barman” stentiamo a ripartire. Il dovere (piacere) ci chiama e quindi puntiamo gli occhi verso altri lidi. La tappa che ci aspetta è abbastanza scorrevole: prima parte in discesa, che provoca qualche torpore di sonno, ma poi con buona andatura e salita finale arriviamo a Vence, sicuramente la cittadina più caotica di tutto il percorso.

Come al solito si fa fatica trovare posti per mangiare e per non perdere tempo ognuno si arrangia come può. Piero in rosticceria, Max manco a dirlo in pasticceria ed io e Michele al chiosco pizza. Facciamo il punto della situazione: alla ripartenza della tappa abbiamo tre ore di vantaggio. Di sicuro riusciamo a stare nel tempo limite. Rimane l’incognita sonno. Parte la penultima tappa. Subito 12 chilometri di salita per portarsi ai 1000 metri del Col de Vence, ma con calma arriviamo in vetta.

Discese e risalite continue, si rimane in quota, ormai è buio. Passiamo nelle vicinanze di un paese che ricorda Pitigliano, e una foto è d’obbligo. La discesa è lunga e a Max viene sonno; si parla e Max si colloca tra me e Mic, finalmente siamo giù. Ci fermiamo ad un incrocio, piccola pausa. Mi viene spontaneo chiedere se ci fermiamo a dormire un po’ … risponde Max: “No, andiamo avanti“, solo che lo diceva con gli occhi chiusi. Per il momento non ho sonno, ma sicuramente arriverà, e ancora dobbiamo affrontare l’ultima salita lunga 10 chilometri che ci porterà su un altipiano a 1100 metri. Prima di partire ci copriamo con gambali e scalda collo.

Ci incamminiamo e procediamo appaiati; la luce di Max ha un fascio ristretto, un piccolo cerchio e cominciamo a seguire i disegni che traccia sull’asfalto. L’effetto è di un pendolo e rischiamo di venir ipnotizzati. Si sale, ci si incrocia con gli altri gruppi, tedeschi, francesi. Arriviamo sull’altipiano, ci aspettano 40 chilometri in quota con un continuo saliscendi: la ninna nanna del ciclista. Cerchiamo di mantenere una andatura costante, ma gli strappi ce lo impediscono. In uno di questi strappi io e Mic procediamo più avanzati di un centinaio di metri da Max e Piero; sentiamo un urlo, la voce è di Piero. Ci fermiamo, ci giriamo e vediamo una luce che torna indietro. Dopo qualche istante, ecco due luci che procedono verso di noi. Arriva Max e Mic gli chiede “Sei caduto?”. La risposta di Max dà il segnale dello stato in cui stiamo cadendo: “Mi pare di sì“. Da questo momento inizia un’altra 1000 du Sud.

Breve discesa e in curva vedo Piero fermo; lo chiamo: “Pier” e mi fermo. Non era Piero ma un paracarro più grande del solito. Oddio! Mic ride, passano pochi minuti e mi chiede se ho visto il tasso attraversare la strada. Lo guardo... risposta eloquente “No, ma ho sentito i passi che facevano tic tic“. Se il tasso sia passato o no, non lo sapremo mai.

Sembra di essere entrati in un mondo virtuale dove tutto diventa reale. Siamo in mezzo a boschi, eppure vedo palazzi medioevali ai lati della strada, cartelli che si animano, l’asfalto che assume le sembianze di creature viste al microscopio di colore viola. Mic vede un uomo nudo uscire e rientrare nel bosco. A questo si aggiunge il percorso dove su ogni piccola discesa cerchi di prendere velocità per superare il prossimo dosso e quando non ci si riesce sono come bastonate nelle gambe. Stanchezza e sonno la stanno avendo vinta. Un attimo, mi guardo intorno... sono solo.

L’armata è avanti o indietro? Controllo il GPS e cerco di capire quanti chilometri mancano al controllo. Con il fatto di aver allungato il percorso per errori, cerco di calcolare. Cavoli due più due fa quattro, ma in queste condizioni diventa tutto più difficile, anche fare i conti. Alla fine partorisco un risultato approssimativo di 15 chilometri.

Ho due soluzioni: fermarmi e fare un microsonno o partire in quarta. Via! aumento la velocità. Se l’armata è avanti la riprendo, se è indietro l’aspetto al controllo. Pedalo, mi chiedo dove posso trovare ancora le forze, mi sento legato nei movimenti, slaccio la mantellina, cavoli ne ho due, anzi tre. Le ho indossate durante lo stato confusionale che ho passato prima. L'andatura è sostenuta, vedo le luci davanti, mi avvicino, il primo che incontro è il francese e poi Manuel. Via ancora avanti. Finalmente trovo Piero e Mic e Max ci raggiunge subito dopo.

 

Arriviamo a Comps-sur-Artuby. Mancano solo 60 chilometri all’arrivo e quattro ore di vantaggio sulla chiusura. La voglia di arrivare e finirla ci spinge avanti; si fa una sosta breve. La tappa inizia in discesa: riconosco il percorso della passata edizione. Si scende di 400 metri e, ahimè, la discesa provoca sonno a tutti. Si procede a rilento. Siamo a 40 chilometri dall’arrivo e inizia l’ultima salita. Si passa per Ampus: era l’ultimo controllo della passata edizione. Ci fermiamo alla fontana, strada stretta in salita; siamo stanchi, facciamo una pausa e ci sediamo in ordine sparso. Mic e Piero sul lato della fontana, io e Max dalla parte opposta. Appoggio la schiena al muretto e stendo le gambe, incurante di essere in mezzo la strada; scende un'auto e Piero urla: “Jimmy le gambe!“. Per un attimo non capisco, poi mi accorgo dove sono e velocemente le ritraggo. Ll’auto nel frattempo si era fermata. Ci guardiamo, ridiamo, Mic da seduto si addormenta all’istante e gli cade la testa di lato risvegliandosi di soprassalto.

Mamma mia siamo alla frutta! Non importa, si riparte. Mancano pochi chilometri allo scollinamento, poi è strada tendente alla discesa sino a Carces. Arriviamo in quota, finalmente. Via giù veloci, ma la lucidità dura poco, solo qualche chilometro e poi comincia ancora lo stato di torpore. In curva vedo l’ingresso di un cortile, mi fermo chiedo agli altri di fare un micro sonno. Piero consiglia di non entrare nel cortile, potrebbero esserci dei cani. Ci sediamo ai lati dell’ingresso. Io e Piero ai lati opposti dell’entrata come due sentinelle appoggiati ai pilastri, Mic si siede sul ciglio della strada, racchiude le ginocchia e vi appoggia la testa. Cavoli, manca Max. Dopo poco si sentono dei rumori secchi: clack, clack. E' Max che stacca i pedali e mette subito seduto a dormire. Non so quando si dorme, non molto, ma basta per essersi tolti il colpo di sonno. Sono sveglio. Mi accorgo solo ora di essermi seduto su un cumulo di aghi di pino: pungono.

Mi alzo mentre gli altri continuano il micro sonno, mangio qualcosa, guardo un cielo stellato stupendo, ripenso agli ultimi pezzi di strada e di come li abbiamo percorsi. Decido di chiamarli. Al primo richiamo niente. Aspetto, do una controllata al percorso: 23 chilometri alla fine, strada in discesa. Mi ricordo che nella passata edizione con Piero, Mario e Musseu avevamo fatto i numeri, bruciandoli via. Li richiamo, Max e Piero ci sono, Mic no. Lo chiamo una, due tre volte, niente; si comincia a ridere. Il ricordo di quanto mi era successo a Caselle nella 1001 Miglia. Alla fine dopo una energica scrollata, Mic alza la testa; sguardo nel vuoto. E' uscito dal corpo, ma dopo qualche attimo si riprende.

Rimontiamo in sella e veloci cerchiamo di affrontare questi ultimi chilometri. Sarà che il profumo della stalla rinvigorisce il cavallo, così procediamo spediti verso Carces. Vediamo i cartelli 16 chilometri, poi 9 e 7. Quattro fari nella notte, anzi tre, manca Max. Rallentiamo un attimo, siamo in mezzo i boschi, le nostre luci illuminano la strada, un riflesso sullo sfondo, è un cartello: CARCES. Mi fermo per una foto. Sono le 6 di mattina. Solo un RANDAGIO può fermarsi in piena notte a fotografare un cartello e provare emozione come se stesse guardando un Michelangelo. Sì l’emozione è forte, in qualche frazione di secondo la mente riesce a ripercorrere tutte le emozioni e sensazioni di tre giorni intensi. Riparto e velocemente raggiungo gli altri, ultimo piccolo errore di percorso, forse volevamo fare un altro giro. Rientriamo sulla strada ed ecco Max, il cavallo di rincorsa.

 

Si entra nel cortile; le strette di mano, le voci contratte dall’emozione, la frase “è sempre un piacere pedalare con lei“ con l’aggiunta “questa ha un sapore particolare “. Si entra in palestra. Manuel mi vede e parte un abbraccio intenso e forte. Qualcuno è già arrivato e subito le strette di mano. Salutiamo Sophie, che ci fa i complimenti e noi li restituiamo: grande e bella manifestazione. Ci sediamo per cenare o pranzare, non so; la cognizione del tempo è svanita. Poter stare seduti senza più guardare l’orologio. Poi una doccia ed ognuno di noi crolla in un meritato sonno-riposo.

Rimane un’impresa e, come sempre, vissuta con persone fantastiche. Condividere per tre giorni fatiche comuni con l’idea di essere un’entità unica. Ogni rando è accompagnata da un ricordo particolare, e anche questa non sfugge a questa regola.

Tante volte mentre si pedala, nella fatica più estrema, ci si chiede “Perché ?”. Forse davanti a quel cartello a Carces, qualche risposta me la son data.

A MICHELE, PIERO E MASSIMILIANO un grazie dal profondo del cuore per la magnifica avventura.

(6 dicembre 2012)


Jimmy Vignati

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