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Racconti

lunedì 16 gennaio, 2017

1001 Miglia 2016... CHE AVVENTURA (storia di un'amicizia)

Mi sentivo un peso per i miei compagni di viaggio, le gambe mi facevano male e il  singhiozzo, che non mi abbandonava da ore, mi rendeva difficile riposare e respirare in salita; ero in difficoltà ma  cercavo di non darlo a vedere, sognavo ancora di farcela…

 

Tutto era iniziato un po' per caso, oltre un’anno prima quando con Fabio, “l’on de curan”, si parlava della Parigi Brest e lui disse: “L’anno prossimo c’è la 1001 Miglia, mi piacerebbe partecipare”.

Così, tra una battuta e l’altra, l’idea iniziò a farsi spazio in testa.

Domenica 10 gennaio il via alle iscrizioni... alle sei del mattino avevo già la mail di conferma del pagamento.  Da quel momento provai quasi un senso di liberazione, avevo davanti ben otto mesi per allenarmi... e, almeno all’iscrizione, ero tra i primi.

I mesi volarono e, a causa del meteo inclemente, di qualche impegno imprevisto e di un infortunio, mi ritrovai alla vigilia della partenza con una preparazione a dir poco approssimativa.

Decisi che sarei partito comunque e così il 16 agosto eravamo  tutti al via: Fabio, Danilo, Giuseppe ed io. Alla partenza eravamo tantissimi, di tutte le nazionalità, un vero tripudio di colori, un arcobaleno di persone.

Partimmo che era già buio e il cielo si era fatto minaccioso, ma la fortuna fu dalla nostra e le nuvole si diressero altrove.

In corsa le prime sensazioni furono buone, riuscivo a gestirmi senza grossi problemi stando a ruota dei miei compagni che mi aiutavano mantenendo velocità inferiori ai 30 km/h.

Quando arrivammo a Lugo, stentai a credere di aver già percorso i primi 400 chilometri, mi sembrava di essere appena partito. Assaporavo già il primo meritato riposo, ma la piacevole sensazione durò  giusto il tempo di scendere dalla bici, lavarmi,  mangiare qualcosa e sdraiarmi su una panchina forse mezz'ora:  Danilo ci convinse che era meglio ripartire subito visto che avevamo davanti ancora molte ore di luce.

L’idea m’impauriva perché avremmo dovuto affrontare con 400 chilometri nelle gambe e senza aver mai riposato, la prima vera salita: 103 km e quasi 1.500 metri di dislivello.

Per la mia gamba acciaccata sarebbe stata la “prova del nove”.

Contro ogni previsione riuscii a raggiungere Dicomano senza “scoppiare” potendo riscuotere la lauta ricompensa: panino, birra, doccia e, finalmente, nanna (si fa per dire...  forse un’oretta).

Ripartimmo che era ancora notte fonda: destinazione Vallombrosa. Arrivammo dopo che aveva già albeggiato, immersi nel verde dell’omonimo Parco Naturale e in una leggera nebbia che rendeva l’atmosfera quasi surreale. Ad attenderci c’era un ristoro con piatto tipico locale a base di pane, pomodoro, aglio e cipolla; una prelibatezza anche se non molto indicata per fare colazione.

Ancora non lo sapevo ma quella colazione, assieme agli antidolorifici che prendevo per lo strappo, mi avrebbero fatto conoscere, di lì a breve, altri due compagni di viaggio che, come Fabio, Danilo e Giuseppe, non mi avrebbero più abbandonato:  il male di stomaco e il singhiozzo.

Altri 120 chilometri, i primi in discesa e gli ultimi in pianura, costeggiando il Lago Trasimeno, ci separavano dal primo dei due “bags drop”: a Chiusi c’era “un mare” di zainetti ordinati per numero di pettorale, appoggiati sulle gradinate di una palestra… un appuntamento molto atteso perché era come incontrare qualcuno di famigliare salutato alla partenza.

Avevamo percorso poco più di 600 chilometri e “solo” 4.000 metri di dislivello, davanti c’erano le tappe più dure: più di 1.000 chilometri e oltre 12.000 metri di dislivello. Non c’era tappa, se non l’ultima,  che non avesse salite, alcune delle quali veramente impegnative come quella che da Todi ci portò a Bolsena, in una splendida notte di luna piena; ho sentito qualcuno paragonarla allo Zoncolan e qualcun altro definirla un castigo.  Scoprimmo solo in seguito che se avessimo seguito le frecce dipinte sulla strada anziché seguire le tracce dei GPS avremmo evitato il castigo… ma noi siamo uomini duri!

Nonostante tutto, però, potemmo dire di essere al giro di boa,  al tanto atteso lago di Bolsena. Da lì avevano inizio i secondi 800 chilometri, quelli più duri, quelli dove conta la testa. I panorami erano incantevoli ma le tappe si assomigliavano tutte: salita, salita e ancora salita.

Ad ogni scollinamento scorrevo il roadbook cartaceo, quello con l’altimetria,  per capire ciò che avevo davanti… quelle salite piene di righine rosse verticali mi terrorizzavano, sembravano non finire mai… finché decisi che mi sarei concentrato solo su ciò che stavo facendo, affrontando una difficoltà alla volta senza guardare “troppo in là”.

Forse fu proprio questa la svolta vincente anche se ammetto di aver preso un po’ troppo alla lettera questo mio proposito, in almeno un paio di occasioni: se mi fossi concentrato un po' meno sui pedali e avessi guardato un po’ più avanti, forse non mi sarei addormentato… Fu così che mi svegliai dentro ad un fosso dove era  appena stata tagliata l’erba. Non mi sarei più alzato!  Abituato a dormire per terra mi sembrava di essere in un letto morbidissimo.

Nel prosieguo della corsa, Fabio capì le mie difficoltà nell’alimentarmi e nel dormire a causa del singhiozzo e fece di tutto per aiutarmi.

Nelle salite mi precedeva lasciandomi proseguire con il mio passo per poi farsi trovare puntuale agli scollinamenti, sempre con il sorriso in volto e qualcosa da mangiare in mano.

Dopo una salita che mi mise a dura prova, lo trovai  seduto davanti ad un supermercato con una coca ed una vaschetta di gelato da mezzo chilo... non ricordo di averne mai mangiato di così buono!

A metà di un’altra salita lo trovai che mi aspettava con una manciata di more, mi sembra ancora di sentirlo... “Mangiale, sono piene di antiossidanti, vedrai che ti faranno bene”.

In un’altra occasione, mentre eravamo sotto un sole cocente, mi fece cenno di seguirlo. Tornammo sui nostri passi, imboccando a piedi una stradina sterrata che ci portò, dopo qualche peripezia, nel greto di un fiume: ci immergemmo vestiti... una meraviglia! Peccato che lui perse gli occhiali.

Dopo una salita particolarmente dura pretese di caricare nella sua bici anche parte del mio bagaglio, appesantendo ancor di più la sua bicicletta. Provai a dissuaderlo ma non ne volle sapere.

… E così attraversavamo paesi meravigliosi, paesaggi che sembravano dipinti; pedalavamo  all’alba con la luce gialla e viola che cresceva sospesa tra la terra e il cielo o al tramonto osservando quel bagliore inabissarsi improvvisamente; di notte avanzavamo con la sola compagnia delle stelle, tra un piatto di Kebab e una dormita fianco a fianco su un pavimento gelido,  mentre il vento alzava la coperta termica facendoci passare notti da “brivido”.

… E che dire delle colazioni a base di toast e birra la mattina di buon’ora con lo stupore di chi ci prendeva per alcolizzati?

Così, a piccoli morsi abbiamo divorato l’intero percorso…. Dopo 125 ore eravamo al tanto ambito traguardo.

Porterò dentro di me molti ricordi indelebili di questa dura esperienza. Troppi per essere ricordati tutti in poche righe. Voglio però congedarmi esprimendo grande riconoscenza al mio compagno e amico Fabio che, senza farmelo pesare, mi ha sostenuto e incoraggiato, rimanendo sempre al mio fianco anche rischiando di non portare a termine l’impresa che aveva tanto sognato.

 

 Alberto , un randagio.

 

 

Precisazione da Fabio:

In realtà è stato mio il  piacere condividere questa avventura con Alberto, Danilo e Giuseppe.

Volevo spendere qualche parola per cercare di spiegare quello che Alberto ha solo accennato, in particolare riguardo al singhiozzo che lo ha accompagnato per buona parte del percorso. Si trattava di spasmi molto accentuati e frequenti  che era evidente influissero in maniera negativa anche sulla corretta respirazione  cosa che specialmente in salita era veramente invalidante, sinceramente io ci avevo un po fatto l'abitudine a sentirlo (smetteva qualche minuto solo quando dormiva) ma se provavo a mettermi nei suoi panni mi chiedevo se avrei avuto la voglia e la tenacia di tenere duro come ha fatto lui.

Vi dico solo che il problema si è protratto per giorni dopo la fine della randonnee e per risolvere la situazione si è reso necessario un ricovero di una giornata con una specifica terapia farmacologica che fortunatamente ha sortito gli effetti voluti, se così non fosse stato si sarebbe reso necessario un intervento chirurgico al nervo frenico.  Non posso giudicare il bruciore di stomaco ma posso garantire che il disagio che gli provocava era veramente notevole costringendolo ad alimentarsi in maniera molto precaria con i relativi disagi che ne possono derivare sotto il profilo delle prestazioni ciclistiche tanto più in una manifestazione che dura più e più giorni.

  Fabio , un altro randagio.

 

 

 

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