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Pedalare di notte è il vero battesimo di fuoco del randonneur

Pedalare di notte è il vero battesimo di fuoco del randonneur, ciò che che fa la differenza rispetto ad un ciclista “normale”

La notte riassume in sé tutte le emozioni e le sensazioni più forti: paura, sconforto, stanchezza, poesia, magia. Ma è (anche) pericoloso, inutile girarci intorno. La cosa migliore è affrontare i tratti notturni insieme ad altri ciclisti, che siano i compagni di viaggio di sempre o randonneur conosciuti occasionalmente sul momento. Quando sei alle prime esperienze, le automobili che senti arrivare da dietro ti tolgono il respiro. Ogni auto una preghiera. Poi ci sono le buche sull’asfalto, quelle che forse non puoi vedere malgrado tutti i fanalini di questo mondo. E il percorso da rispettare – al buio non si vedono i cartelli stradali, e in un brevetto Audax mancare un bivio può significare andare fuori strada di parecchi chilometri e compromettere l’omologazione della prova. Comunque, con l’esperienza ci si abitua a tutto. E può capitare di finire in certe stradine di provincia, fuori dal traffico delle Statali, tutto intorno un gracidar di rane e frinire di grilli. Milioni di lucciole, i profumi dell’estate nell’aria, così differenti da quelli che si sentono di giorno. Nel cespuglio di fianco, o giù nel fossato, qualcosa si muove: cinghiali? Topi? Uccelli notturni? La sorpresa supera la paura, non avresti mai creduto che di notte vi fosse così tanta vita in libertà. La luna piena, benevola, illumina la campagna con la sua pallida luce. È tutto bellissimo, finché un senso di umidiccio e di schifo non ti invade completamente, tanto da non farti desiderare altro che l’arrivo dell’alba: in fondo, siamo pur sempre animali diurni…

È l’alba, hai centinaia di chilometri alle spalle. Arriva la crisi di sonno. La velocità è bassa, ti si chiudono gli occhi, non capisci più niente. Cerchi di resistere. I bar cominciano a riaprire i battenti, e questa notizia, insieme al sorgere del sole, è sempre accolta con un sollievo particolare. Un caffè espresso, una buona prima colazione, il profumo delle brioches appena sfornate, tutte piccole cose che aiutano a riprendersi e a scrollarsi di dosso l’umidità e lo sconforto della notte.

Sfatiamo una leggenda: non è vero che nei giorni precedenti una randonnèe ci si deve allenare a stare svegli. È una stupidaggine colossale, NON è possibile allenare la privazione di sonno. La settimana precedente un appuntamento di ultraciclismo è buona norma, semmai, seguire ritmi regolari e non stressanti, fare vita da atleta, a nanna presto tutte le sere, e partire per la nostra avventura il più possibile riposati.


ll rapporto con il sonno tuttavia è molto soggettivo. Ci sono randonneurs che possono pedalare per parecchie ore di seguito, e altri che, invece, hanno bisogno di pisolini frequenti. Io appartengo alla categoria di quelli che resistono senza problemi durante le ore diurne, ma crollano irrimediabilmente appena tramonta il sole. Per cui, se la randonnèe dura più di due giorni, la pianifico avendo cura di pedalare il più possibile durante il giorno, e di far coincidere le soste deputate al riposo con le ore di buio, possibilmente al sicuro nei posti di controllo. Ho visto gente “dormire” ovunque: assai illuminante era, in questo senso, la fotografia che divenne il simbolo dell’edizione del 1999 della “Paris-Brest-Paris”, che ritraeva un randonneur addormentato in piedi in una cabina del telefono… Durante una crisi di sonno, una breve sosta per chiudere gli occhi, anche solo dieci minuti, tante volte può bastare, ma si tratta di un ripiego temporaneo. Ricordo ancora una volta che il sonno è una funzione ESSENZIALE per la vita, come bere e respirare, pertanto, se la randonnèe dura più di due giorni, è impensabile credere di riuscire ad arrivare alla fine senza qualche ora di sonno “vero” (non semplice dormiveglia). Quante ore? Dipende dal tempo che si ha a disposizione. I più veloci potranno prendersi il lusso di fermarsi un po’ di più, mentre i più lenti dovranno stare molto attenti ad ottimizzare ogni minuto.

Se ci si deve fermare di notte occorre coprirsi, poiché è molto facile andare in ipotermia. Tipicamente il “letto” del randonneur è la mitica coperta di sopravvivenza, quel foglio di plastica argentato/dorato molto leggero che però ha la capacità di trattenere il calore corporeo, consentendo un minimo di comfort per un pisolino-lampo. Tuttavia, nelle randonnèe più lunghe ho visto qualche cicloturista lungimirante portare con se un vero sacco a pelo. Ognuno deciderà come equipaggiarsi, soprattutto in base alle proprie esigenze ed alle ore di sonno che pensa di fare. Una cosa è certa: è inutile decidere di fermarsi a dormire due ore, se in quelle due ore poi non riesci a chiudere occhio perché hai freddo o sei scomodo sul duro cemento. Avrai buttato via due ore! Per cui, anche se può sembrare un assurdo peso supplementare da caricare sulla bici, portarsi un piccolo sacco a pelo o un materassino ultraleggero alla distanza potrebbe rivelarsi una mossa vincente.

L’uso di sostanze eccitanti come caffè e guaranà è, secondo la mia esperienza, da limitare: la caffeina altera i naturali ritmi sonno-veglia, e non bisogna abusarne. L’organismo ha le sue esigenze, va trattato bene e rispettato, sennò prima o poi si vendica. Di fronte ad una grave privazione di sonno non basteranno tutti i caffè del mondo a salvarti: bisogna fermarsi a dormire.

tratto dal BLOG di Silvia Negri
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