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Racconti

lunedì 07 settembre, 2015

Libertà, Fraternità, Randonnée (2° parte)

Capita ovviamente dopo i 600 700 chilometri di parlare meno quando ti affianchi alle persone. Tanti sono lì per dei motivi privati, per combattere delle sfide che vanno oltre alla PBP, altri per il solo piacere della corsa. Con alcuni riesci ad interagire, tutti ti concedono almeno un saluto.

Tanti orientali, con delle bici improponibili e pesantissime, procedevano con un campanello attaccato al telaio, che suonava continuativamente. A tutti ho provato a chiedere il significato di quel campanello, di quel suono continuo, ma nessuno di loro parlava inglese. Ho scoperto poi che serve a tenere gli spiriti maligni lontani ma tutto sommato serve anche a tenere sveglia la gente che va in bici di notte.

Erano tutte persone che avevo già visto tante volte nei chilometri precedenti. Sono quelli che si fanno tutta la PBP con massimo 2 ore di sonno, e per il resto procedono costantemente e inesorabilmente, piano, a pedalare. Mangiano poco, si fermano quasi niente. Credo che sia inevitabile che si perdano in se stessi, e se questa cosa può portare dei benefici nella ricerca interiore, di certo non permette di avere piena coscienza dei luoghi che si attraversa.

La PBP però è bella anche per questo. C'è tanto spazio per chiunque: chi vuole cercare la prestazione (gente la finisce in poco più di 40 ore) chi cerca amicizie, chi cerca l'impresa nel farla la prima volta, chi colleziona edizioni, chi per stimolo cerca di farla con lo scatto fisso perché con la bici da corsa l'ha già fatta, chi deve dimostrare al mondo che una PBP si può fare senza gambe, in 88 ore, e un cuore grande come il mondo, chi probabilmente è lì per far pubblicità ad un modello avveniristico di veicolo, chi prende la PBP come un tragitto di passaggio per l'estate in bicicletta, partendo da Modena e arrivando a Parigi sempre in sella... su quelle strade c'è spazio per tutti. E tutti alla fine vogliono scrivere report, mostrare le loro foto, aggiornare i loro siti, perché se il ciclismo è la metafora della vita, la PBP è la metafora dell'umanità, in tutta la sua bellezza e nelle sue differenze, ed è un'umanità buona, incredibilmente amica, quasi fraterna, e soprattutto incondizionata. Non c'è lingua incompresa, difficoltà oggettiva che può impedire a due randonneur di darsi una mano o di farsi compagnia, perché stanno entrambi vivendo un qualcosa di unico che li sta legando, tra di loro e anche tra loro stessi.

 

Prima di partire pensavo che facendo una corsa di 1200 chilometri, una volta arrivati ai 1000, i restanti sarebbero arrivati di conseguenza. E purtroppo ho dovuto confermare la strana teoria che se devi fare 200 chilometri dopo che ne hai fatti 1000, questi sono esattamente gli stessi che devi percorrere se devi farne 200 se parti da zero! Strano vero? Era pur vero che sarebbero stati gli ultimi 200 chilometri più facili. E bisogna dir la verità: a Mortagne au Perche (primo controllo all'andata, terzultimo al ritorno) c'era un servizio massaggi gratis che mi ha dato un recupero alle gambe fantastico. Non c'era momento migliore per provare per la prima volta un massaggio. Anche lì l'organizzazione si è rivelata efficacissima.

 

Piano piano si ripresenta la sera. Tra pizzichi e bocconi stavo pedalando da mezzogiorno del giorno prima, con qualche dormita qua e là. Ma stavo bene.

E' così che si perde poco tempo e si fa una Rando: prenotarsi gli alberghi a meno che non sai esattamente quello che puoi fare (e alla prima PBP non puoi assolutamente saperlo) è una perdita di tempo e soldi, tant'è che la mia terza notte appunto si annullò, e passai di giorno lì davanti dove sarei dovuto arrivare il giorno prima verso l'una di notte. Pensai anche di fermarmi a dormire un po' ma sentendomi bene decisi di tirare a dritto e ormai era anche il momento di tirare e chiudere questa esperienza.

L'ultima notte. Il conto alla rovescia era cominciato sul serio. Mancavano meno di 150 chilometri. Ero sereno. Avevo abbastanza soldi per non morire di fame, sicché era come viaggiare in mercedes.

 

La notte era buia, e stavolta anche il tragitto terribilmente piatto. Attraversando i paesi si incontrava di rado solo la luce di qualche semaforo che illuminava le case. La gente era stremata e non aveva voglia di parlare. Io avevo messo il pilota automatico ormai, e senza dolori al polpaccio e al ginocchio mi guardai bene da forzare troppo la pedalata approfittando del momento positivo.

Accesi anche la luce del casco, almeno potevo illuminare direzionalmente il punto in cui guardavo.

 

Ad un certo punto misi l'Iphone con le casse verso di me che spuntavano dalla borsa anteriore e mi misi ad ascoltare la musica. Ascoltai per 3 volte lo stesso album "Fuori" degli "Street Clerks", musica da viaggio vero che ti trasmette serenità e spensieratezza. Contando i chilometri che mancano arrivai a Dreux! Ultimo gradino della lunga scalinata prima di rivedere il Velodròme! L'adrenalina faceva da padrona, i 2 etti di pasta che mi son divorato a mezzanotte hanno fatto il resto.

 

Si riparte, next stop Parigi. Strade sempre peggio, sempre più piatte, sempre meno gente. La quarta volta il disco? No, ormai era momento di riflettere su quello che si era fatto, su quello che ormai avevo la sicurezza avrei concluso. Senza pensare a cosa avrei fatto domani, a come dovevo fare per le valigie e il viaggio di ritorno. Pensavo solo ad arrivare e sentivo il profumo dell'impresa compiuta.

 

I chilometri erano più di 1100 percorsi. Bisognava arrivare a 1230. Io avevo circa 9 km in più sul mio ciclocoputer per i trasferimenti degli hotel all'andata, e quindi per me si sarebbe arrivati a circa 1240. Sono assolutamente importanti: se mancano 50 km mancano 50 km, non te li abbuona nessuno, e sono altre due ore. Nel totale buio.

 

Il traguardo si avvicina, è tardi, è l'una passata. Ho ricominciato a rilanciare in salita. Sento sui denti uno strato di sporco che mi irrita le labbra, completamente andate ormai da centinaia di chilometri per il continuo alternarsi di caldo-freddo. Guardo avanti: nel bosco procedo senza tentennamenti e rilanciando. Da decine di ore in bicicletta, di giorno e di notte superando soglie di sensazioni e fatiche, sonno, dolori e fame. Più di 1200 chilometri dentro di me.

 

Mi sentivo parte dell'oscurità. Del vento. Del freddo. Della solitudine. Era il mio posto quello: in mezzo a quel silenzio. E attaccavo la strada in direzione del traguardo. Mi sentivo un randagio, mi sentivo infettato da questa malattia che mi dava forza, che mi portava verso la luce della città, verso la gente che alle 3 del mattino mi ha accolto a 10 chilometri dall'arrivo con bandiere e fisarmoniche. Verso Saint Quentin, dove gli ultimi 4 chilometri ti facevano entrare in un parco, e ad accoglierti c'era un arzillo signore anziano che ti incitava e ti urlava "Quatre!! Quatre chilometre!! Quatr!!" assicurandosi che il ciclista non stesse svenendo cercando di vederlo bene in faccia nella notte. Io lo guardai estasiato perché avevo ancora forze e stavo bene, ero sereno, e quella era ulteriore forza che lui mi stava donando che mi lascio positivamente perplesso.

 

Attraversai il parco esultando, urlando come un cretino, e schivando lepri che attraversavano la strada. Il velodrome.. dietro una curva. Poca gente ma c'erano, e tutti applaudivano il tuo arrivo. Ce l'ho fatta. Ce l'ho fatta. Ce l'ho fatta. Le lacrime iniziano a scorrere per qualche istante. Partono gli abbracci con chiunque arrivi in quel momento. Poi ti rendi conto che hai le gambe come due scatole di tonno passate sotto un tir, e piano piano finisci di sfondare le tacchette per andare mettere l'ultimo timbro sul tuo libretto, che pesa come una pietra lunga 1230 chilometri.

 

PBP archiviata: ora cibo, chiacchiere con altri italiani (amico di Genova che l'ha fatta con la Brompton, l'ultima volta che l'ho visto l'ho superato che ero ai 400 km, arrivato si e no un'ora dopo di me e dormendo un'ora e mezza durante tutto il tragitto). Altre dormite sui cartoni ad aspettare l'alba, per poi cercare l'albergo, dormire le solite 2 ore e poi via via tornare, piano piano, alla normalità.

 

Se dovessi rifare la PBP, cosa che sul momento mi sono promesso non farò mai e poi mai in vita mia, mi farei una ragione che negli alberghi non si può dormire. Ci sono degli ottimi dormitori. Si spende tanto per mangiare e soprattutto aspetterei un giorno in più per tornare a casa, per fare un po' di festa, il giorno dopo, al Velodròme. Sì perchè arrivare di notte effettivamente ti sfinisce, alla fine pochi hanno voglia di festeggiare. Si è molto stanchi e qualche ora può fare la differenza.

 

Un'altro consiglio che darei è di capire che, prendendo il 2019 come riferimento, cominciare almeno nel 2017 a fare le randonnèe, e fare diverse 400, 600 e magari qualche 1000. Io ho concluso in 80 ore ma ne ho pedalate solo 50, e vi garantisco che mi sembra di essermi fermato poco. Ci si può mettere lo stesso tempo e pedalare più piano oppure metterci meno tempo e arrivare di giorno. Ma come ho già detto, una PBP va vissuta momento per momento, perché alla fine è come vivere una vita intera in meno di 90 ore.

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