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Racconti

lunedì 12 luglio, 2021

Racconto a caldo della Rando dei Titani, la corsa in bici delle due regioni, sviluppata su un percorso di circa 600 km e 9.000 m di dislivello, tra Calabria e Sicilia.

Rando dei Titani 2021

di Nese Maurizio
Racconto a caldo della Rando dei Titani, la corsa in bici delle due regioni, sviluppata su un percorso di circa 600 km e 9.000 m di dislivello, tra Calabria e Sicilia.

Racconto a caldo della Rando dei Titani, la corsa in bici delle due regioni, sviluppata su un percorso di circa 600 km e 9.000 m di dislivello, tra Calabria e Sicilia.   Raccontare a caldo un’impresa simile è importante, per imprimere nella memoria quei momenti che altrimenti sparirebbero nell’oblio, lasciando solo pochi post su Facebook e qualche foto. Seguo in maniera attiva dal 2015 il mondo delle randonnée, ho avuto modo di partecipare a molti eventi di questo tipo, ognuno è una storia a sé, parliamo di un’attività sportiva ad elevato impegno fisico e mentale che richiede una pianificazione attenta e meticolosa. Questo evento richiede una breve premessa, parliamo della prima edizione di un evento che sulla carta è già molto ambizioso, soprattutto per chi deve organizzare e garantire a tutti un’esperienza in bici sicura e bella da ricordare. Pianificare un percorso di 600 km con quasi 9000 mt di dislivello in un territorio pieno di difficoltà e culturalmente ostile ai ciclisti non è per niente facile. Ognuno di noi ha delle motivazioni che lo spingono ad affrontare delle prove sempre più dure, questa mi ha stimolato da subito per le sue caratteristiche “estreme”, siamo abituati a ragionare sempre sul chilometraggio e sull’altimetria in base a questi parametri sappiamo che cosa andremo ad affrontare, ma non basta, in questo caso sono importanti anche altre variabili come la condizione delle strade, il livello di traffico veicolare, le temperature, la possibilità di riempire le borracce e trovare una fontana, ecc…  In base alla mia esperienza di “randagio” conosco benissimo cosa mi aspetta in questo cicloviaggio. Arriva il giorno della partenza, pianifico ogni dettaglio o quasi, faccio la valigia carico la bici in macchina e scendo in Calabria per affrontare la Rando dei Titani.  Prima di partire c’è l’incontro con gli organizzatori e tutti gli amici e i compagni di squadra che mi aspettano a Vibo Marina nel sito della partenza che avverrà alle 5 di mattina. Procede tutto benissimo, una calorosa accoglienza e una cena in compagnia, importante per ricaricare le scorte di glicogeno, ma anche per fare due chiacchiere e confrontarsi con altri ciclisti che affronteranno le stesse difficoltà. Una cena minimalista, due pennette al sugo e petto di pollo con insalatina. Non è il massimo per un randagio ma va bene così, appesantirsi con le temperature che ci aspettano non sarebbe indicato. Quindi dopo cena una passeggiatina sul porto di Vibo Marina, un gelato per incrementare le scorte di glicogeno, e questa volta esagero con un bel tartufo di Pizzo Calabro, poi via, giusto il tempo di lavarsi e di andare a letto, la sveglia suona alle 4:00 di mattina, una rapida colazione a sacco e si parte tutti insieme alle 5:00. Le temperature sono alte, capiamo subito che non sarà facile, 25 gradi alle cinque del mattino e un tasso di umidità altissimo. Proseguiamo sulla traccia, il primo controllo è a Pizzo Calabro dopo appena 5 km dalla partenza, i bar sono ancora chiusi, facciamo il check e proseguiamo, dobbiamo affrontare la salita dell’Aspromonte, ma prima ci riscaldiamo per le strade che attraversano Vibo Valentia, Mileto, Rosarno e Gioia Tauro. Il prossimo controllo a Delianuova e poi da lì si sale sull’Aspromonte, che ci accoglie con il fresco dei suoi boschi, la strada scorre, il traffico e assente, solo noi con le nostre bici rompiamo la quiete di quei posti. Gli organizzatori fanno il percorso insieme a noi, ci incrociamo su una delle tantissime fontane che costellano l’Aspromonte, poi dopo aver salito fino a S. Stefano a 1300 mt proseguiamo per una lunghissima discesa che ci porta fino al traghetto a Villa S. Giovanni. La fortuna ci aiuta, non attendiamo molto per le operazioni di imbarco e in mezzora siamo a Messina. Il gruppo dei Randagi Campani è compatto e il morale è alto. Durante la traversata ne approfitto per mangiare un paio di arancini, servirà molta energia per affrontare la Sicilia. Sbarcati in Sicilia, il tempo di rinfrescarci e si riparte per la costa, diretti a Taormina, il prossimo controllo si trova a Castelmola, sul belvedere S. Giorgio, il vento è favorevole, questo ci aiuta, anche l’orario è buono, mezzogiorno e il traffico scorre bene, non ci sono difficoltà. Ma la salita per Castelmola è davvero dura, arriviamo a Taormina alle 14:40 e il termometro segna 40 gradi, le pendenze della scalata di Castelmola non perdonano, arriviamo sul belvedere alle 15:45 stremati dal caldo, ci salva una fontana e un grande gelato al pistacchio ma il peggio deve ancora venire, dobbiamo affrontare l’Etna, e come se non bastasse il giorno prima c’è stata una forte eruzione, con la fuoriuscita di moltissima cenere vulcanica. Arriviamo dopo la discesa da Castelmola a Giarre, dove comincia la scalata al vulcano fino al Rifugio la Sapienza a 2000 mt. Saliamo ognuno con il suo passo, Ferdinando Caliendo e Giosuè Picone, i due assi del gruppo  arrivati a Zafferana Etnea decidono di salire sul rifugio a tutta, io me la prendo con calma, so bene che è una salita dura e che le strade sono piene di lapilli. Sono le 18:30 e devo arrivare sul Rifugio prima che faccia buio, altrimenti sarà difficile perfino distinguere la strada. Mi faccio coraggio e salgo, la strada si impenna, la cenere vulcanica dell’Etna è basaltica, cosa che la rende scura e pesante, inoltre è vetrosa e spigolosa, si infila ovunque e non ti lascia scampo.  Mentre salivo alcuni tratti erano pieni di cenere, la ruota affondava, e questo rendeva la pedalata molto dura, non era facile salire in agilità, ma bisognava usare tutta la forza del corpo necessaria a mantenere l’equilibrio, un grande lavoro fisico e mentale, mentre le ruote aggredivano le cenere, le particelle di sabbia si infilavano ovunque, le sentivo nei calzini pungenti come spine. Ogni tanto mi fermavo per cercare di svuotare le scarpe piene di sabbia. Una vera sofferenza, più salivo e tanto più la sabbia aumentava rendendo ogni curva sempre più difficile, perché oltre ad accumularsi nei tornanti, la sabbia forma delle dune che rendono il percorso molto ondulato, restare in equilibrio richiede forza e tecnica come per le mtb. Per fortuna la mia bici ha un’assetto Gravel con ruote da 28, cosa fondamentale per il tipo di percorso, con una bici da corsa sarebbe stato ancora più difficile. Ala fine riesco a raggiungere la cima, oramai è quasi buio, sono le 21:00, il crepuscolo rende l’Etna ancora più spettacolare, con il sole che tramonta dietro il cono e i riflessi rossi dietro la colonna di fumo che ancora è presente nel cratere. Il paesaggio è lunare non si distingue più la strada da tutto il resto, in fondo si vede tutta la Sicilia con le sue luci. In questi momenti viene fuori la motivazione, il vero motore che mi spinge a fare questo tipo di sport. Quando ti fermi a prendere fiato, e osservi dove ti trovi, quanta strada hai fatto e quanto è stata dura ti senti invincibile, sembra che puoi fare tutto e che nulla può fermati, sono sensazioni che solo chi affronta prove estreme di questa portata può provare, sono emozioni che si trovano molto lontano dalla zona di comfort, ma che ti regalano emozioni indimenticabili. Arrivo al Rifugio, trovo anche i miei compagni, tutti stremati ma tutti consapevoli di aver appena compiuto un’impresa, ma non ci possiamo rilassare, perché dobbiamo affrontare una lunga discesa, di notte, con tanta cenere vulcanica che rende le strade scivolose e pericolosissime. Abbiamo solo il tempo di mangiare un panino, lavarci a volo e metterci l’abbigliamento intimo asciutto, ci sono 10 gradi e poco prima giù si moriva dal caldo. Un’escursione termica notevole, io avevo i brividi di freddo, e non ho portato nemmeno la mantellina, avevo solo uno smanicato. La discesa per fortuna era libera da detriti vulcanici, il vento aveva portato i lapilli solo sul versante opposto, quindi scendiamo in sicurezza, un po' infreddoliti ma va bene, dopo pochi km le temperature risalivano rapidamente e si è tornati a Zafferana Etnea a mezzanotte. Sulla tabella di marcia siamo messi benissimo, si potrebbe anche dormire un po', e decidiamo di fare un microsonno sulle panchine del parco, ma davvero solo 15 minuti, giusto per chiudere gli occhi e recuperare le forze.  Le voci dei passanti, i bambini che giocano nel parco non sono un problema, siamo così stanchi che gli occhi si chiudono automaticamente. Ripartiamo subito per le montagne della Sicilia, Fornazzo e poi Linguaglossa, fino a Francavilla di Sicilia coccolati dal fresco della notte, questo è il bello della pedalata in notturna, non hai il sole che ti picchia in testa e si pedala sciolti, senza il traffico delle macchine, che in Sicilia è davvero infernale. La notte lascia il posto all’alba, e noi affrontiamo l’ultima salita impegnativa della Sicilia fino a Borgo Pietrapizzuta. La montagna è dura da scalare, le temperature calano di nuovo, l’aria calda che sale dalla vallata si condensa generando un fenomeno che non avevo mai visto prima, in pratica pioveva solo sotto gli alberi, perché le foglie più fredde condensavano l’umidità dell’aria calda che saliva. La prima parte della discesa è fredda e nebbiosa, poi l’alba lascia il posto ai primi raggi del sole e le nebbie si dissolvono lasciando libero il panorama sulla costa Nord della Sicilia, ci fermiamo per una colazione con cappuccino e cornetto appena sfornato a Novara di Sicilia, una sosta rigenerante è necessaria, anche perché adesso per arrivare a Messina dobbiamo affrontare la cosa peggiore per un ciclista, il traffico delle automobili. Abbiamo un check point a Barcellona Pozzo di Gotto e poi lo Stretto. Ferdinando Caliendo va come un treno e si porta con sé il resto del team, io decido di calare il passo per recuperare energia, è la prima volta che affronto 600 km senza dormire e sono messo bene con la tabella di marcia, quindi posso gestire il tempo in maniera meno stressante e concedermi qualche sosta in più e qualche foto. Questa volta non sarà una lotta contro il tempo ma una gestione del tempo in più che ho guadagnato per non aver dormito a Nicolosi. La scelta si rivela appropriata, il traffico diventa subito infernale, arrivare a Messina è dura sotto il sole cocente, con poco sonno e con le macchine che non ti rispettano. La cultura della bici è assente, in questi posti un ciclista è visto come un impaccio non come un’utente della strada, questo già di per se  è stressante, poi l’asfalto è pieno di buche,  inoltre in Sicilia nei centri abitati c’è il lastricato, cosa che stressa moltissimo la bici e anche le articolazioni. Alla fine perdo solo un’ora rispetto al gruppo e prendo il traghetto da Messina alle 11:30, di nuovo un’arancino per pranzo e un po' di riposo per quella mezzoretta di traversata dello stretto. Arrivato a Villa S. Giovanni, questa volta da solo, sono le 12:00 e devo fare solo 150 km per arrivare a Vibo Marina, passando per Scilla, Bagnara Calabra la Costa Viola e Tropea. Sembra fatta ma non è così, da Bagnara Calabra abbiamo un check sul monte S. Elia a Palmi, 500 mt di dislivello che mi portano sul punto panoramico dove trovo tre croci. “Volgere lo sguardo dalla sommità del Monte Sant’Elia è un’esperienza forte non capita spesso di trovarsi in un punto in cui cielo, terra e mare si abbracciano per divenire una cosa sola”. Dopo questa salita pensavo veramente che fosse finita, in fondo la Costa Viola la conosco bene, e l’ho fatta diverse volte, ma non dopo 500 km e senza dormire. La fatica si fa sentire, il termometro fisso a 40 gradi, e lo stomaco che rifiuta anche l’acqua, decido di fermarmi a un bar prima di Nicotera per riprendermi, e poi affronto gli ultimi ed interminabili km che mi portano all’arrivo alle 20:00  dopo 39 ore esatte. Il brevetto prevedeva 42 ore, ma dovevo vedere la Partita degli Azzurri, cosa non di poco conto. Alla fine è stato un grande successo, portare a termine un evento del genere non è per tutti, richiede tanto allenamento e tanta resilienza. Unico aspetto negativo, la totale assenza di ristori e supporti ai ciclisti di nessun tipo, tutto fatto in autonomia, una randonnée estrema che la si può tranquillamente confondere con un evento di Ultracycling. Ringrazio l’organizzatore Domenico Errigo per la bellissima targa finale, non c’è bisogno nemmeno di incorniciarla, va solamente appesa al muro. Per me è stata una grande esperienza ma per le prossime edizioni ci sono sicuramente delle cose da migliorare sul percorso, cercare di mettere un ristoro almeno al Rifugio La Sapienza e di fare un pasta party alla fine, poche cose ma importanti, per il resto il percorso è fenomenale e lascia al ciclista una grande avventura da raccontare.

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